Plutarco, nella Vita di Marcello, ci racconta il genio di Archimede. Ponti, macchine belliche, sistemi di difesa sono stati inventati e messi a punto per la difesa di Siracusa, nel 212 a. C.
Tali invenzioni erano considerate dei passatempi, non delle vere e proprie invenzioni tecnologiche.
Tutto quello che faceva era visto come un divertimento. Dei giochi di geometria, realizzati a tempo perso.
I Siracusani, quando si videro attaccati dai Romani chiesero a Lui aiuto. Archimede fece piovere sul nemico proiettili di ogni genere (Pietre; Pali; Ganci;...).
Marcello vide i Romani così atterriti che, appena si avvistava una fune o un legno sopra le mura gridavano:
“Eccolo, Archimede sta dirigendo qualcuno dei suoi ordigni contro di noi”, e si davano alla pazza fuga.
Soprassedette, quindi, a qualsiasi operazione militare, combattimenti o assalti, e per il resto affidò al tempo l’esito dell’assedio.
Archimede possedette tuttavia uno spirito così elevato, un’anima così profonda e un patrimonio così grande di cognizioni scientifiche, che non volle lasciare per iscritto nulla di quelle cose, cui pure doveva un nome e la fama di una facoltà comprensiva non umana, ma pressoché divina. Persuaso che l’attività di uno che costruisce delle macchine, come di qualsiasi altra arte che si rivolge ad un’utilità immediata, è ignobile e grossolana, rivolse le sue cure più ambiziose soltanto a studi la cui bellezza ed astrazione non sono contaminate da esigenze di ordine materiale. E i suoi studi non ammettono confronti con nessun altro.
Il genio.
Spesso, quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno per lavarlo ed ungerlo, egli disegnava sulla cenere della stufa alcune figure geometriche; e appena lo avevano spalmato di olio, tracciava sulle proprie membra delle linee col dito, tanto lo dominava il diletto ed era prigioniero, veramente delle Muse.
Molte e mirabili furono le scoperte che egli fece; ma sulla tomba pregò, si dice, gli amici e i parenti di mettergli, dopo morto, un cilindro con dentro una sfera, e quale iscrizione la proporzione dell’eccedenza del solido contenente rispetto al contenuto.
Molte e mirabili furono le scoperte che egli fece; ma sulla tomba pregò, si dice, gli amici e i parenti di mettergli, dopo morto, un cilindro con dentro una sfera, e quale iscrizione la proporzione dell’eccedenza del solido contenente rispetto al contenuto.
Vc
= π r2 h; Vs = 4 π r3/3; Δ = π r2(h – 4r/3)
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