Siam fatti anche noi della sostanza di cui sono fatti i sogni e nello spazio di un sonno è racchiusa la nostra breve vita.(Shakespeare/Bacone)

E' l'ambiente in cui veniamo cresciuti a determinare le nostre inclinazioni e le nostre aspirazioni.

22 aprile 2020

SCRIVERE

Quando non ho assillanti problemi amo pensare, analizzare, riflettere e scrivere. Scrivere mi porta una grande gioia; un piacere psichico prima e fisico poi.
E' uno stato di necessità che mi avvicina ad una condizione di salute ottimale. Condizione che fa passare in secondo piano i problemi fisici reali. E, scrivere, per me, diventa una specie di terapia igienico-mentale. Col convincimento che tale esercizio porta alla conservazione dello stato di lucidità mentale, che potrebbe essere compromesso in presenza di condizioni limitanti.
Raccogliendo e diffondendo soddisfazione, piacere, appagamento, tenerezza, verso il Mondo intero.

14 aprile 2020

LISISTRATA

In questo tempo di confinamento da Coronavirus, davanti alle innumerevoli incertezze, insicurezze, debolezze, incapacità, mediocrità, del mondo che mi circonda, ritorna in mente quanto Aristofane, circa nel 411 a.C., ha messo in bocca a Lisistrata.
A domanda specifica la Bella ed Intelligente Lisistrata ha fornito la ricetta su come dirigere / gestire, adeguatamente, lo Stato
La sua ricetta, dopo tanti millenni, è ancora valida.
Essa dopo aver paragonato lo Stato alla Lana di pecora suggerisce di:
-Fare un Lavaggio energico, come si faceva una volta in Grecia. Lavaggio indispensabile per mandare via tutto lo sporco che si era attaccato alla lana. 
Dopo il lavaggio e l'asciugatura,
-Stendere la lana su un letto e con un robusto bastone eliminare tutte le spine ed i malanni. E' necessario allontanare dal potere tutti colori che con esso sono in simbiosi. 
Dopo la bastonatura,
-Fare la cardatura, ossia spelare ben bene la testa a tutti coloro che tramano per conservare le cariche di potere. 
Dopo aver cardato,
-Porre in un paniere tutta la Concordia, mettendo insieme tutte le persone di buona volontà (Meticci; Stranieri amici; Debitori dello Stato), e, poi, mescolare ed infine pettinare.
Avendo cura di tenere a distanza, gli uni dagli altri, i Greci.
   Meditate Gente, meditate. Domus.

LIBERTA' E DEMOCRAZIA

La vera Libertà è strettamente connessa al concetto di Democrazia. La Democrazia è intimamente legata al concetto di Uguaglianza (Tutti i Cittadini (Tutti. Compresi i delegati e quelli che detengono il potere) sono uguali). Ne deriva che, dove non esiste il concetto di Uguaglianza, la Libertà dei Cittadini è solo un sogno, una invenzione. 
Dove non c'è Libertà (Esclusi i casi in cui l'Uomo è in lotta) il Cittadino non vive e non pensa; vegeta. E' il caso in cui la povertà è diffusa e forte è la repressione. 
Se ci penso bene, chi detiene il Potere Politico ha tutto l'interesse a fare in modo che la Gente resti in una condizione di inferiorità. Non pensi. Per fare in modo a che la Gente si disabitui a pensare, il potere usa i mezzi forniti dalla tecnologia. Allo stato attuale lo strumento che meglio di tutti esercita questa funzione è la Televisione.  E, siccome la Libertà è una conquista che va conservata e tutelata dagli attacchi che le vengono rivolti, in modo esplicito ed implicito, penso sia necessario, sempre, Vivere e Lottare per i Principi Fondamentali dell'Uomo.  E, nel caso di dubbio domandarsi sempre "A chi giova?"

9 aprile 2020

VIVE CHI LOTTA

Ceux qui vivent, ce sont ceux qui luttent / 
Coloro che vivono sono coloro che lottano.

*** Poesia di Victor Hugo, scritta nel 1848, inclusa nella raccolta I Castighi (1852), tradotta in italiano, nell'aprile 2020, da Chiara Musolino per darla, in dono, al suo Papà.

Coloro che vivono sono coloro che lottano; 
sono Coloro cui un progetto saldo riempie l’anima e la fronte,
Coloro che scalano di un alto destino l’aspra cima, 
Coloro che camminano pensierosi, presi da uno scopo sublime,
Avendo sempre davanti agli occhi, notte e giorno, 
O qualche sacra fatica o qualche grande amore. 
È il santo profeta prostrato davanti l’arca, 
È il lavoratore, il pastore, l’operaio, il patriarca; 
Coloro il cui cuore è buono, coloro i cui giorni sono pieni, 
Questi qua vivono, Signore! Gli altri, io li compiango. 
Poiché il nulla li inebria della sua vaga noia, 
Poiché il più pesante fardello è di esistere senza vivere
Inutili, sparpagliati, essi trascinano quaggiù 
Il cupo abbattimento di essere senza pensare. 
Si chiamano volgo, plebe, turba, folla. 
Essi sono ciò che mormora, applaude, fischia, scredita, 
Batte le mani, calpesta, sbadiglia, dice sì, dice no, 
Mai nessuna figura e mai nessun nome; 
Gregge che va, riviene, giudica, assolve, delibera, 
Distrugge, pronto per Marat come pronto per Tiberio, 
Folla triste, gioiosa, abiti adorni, braccia nude, 
Accozzaglia, e spinta verso abissi sconosciuti. 
Sono i freddi passanti, senza scopi, senza legami, senza età; 
Il fondo del genere umano che si dissolve in fumo; 
Sono quelli che non si conoscono, quelli che non si contano, 
Quelli che dimenticano le parole, le volontà, i passi. L’ombra oscura attorno a loro si prolunga e retrocede; 
Essi non hanno del pien mezzodì che un lontano crepuscolo, Poiché, gettando a caso le grida, le voci, i rumori, 
Essi errano vicino al bordo sinistro della notte.
Ma come, non amare per niente! 
Seguire una triste carriera, senza un sogno in avanti, senza un dispiacere alle spalle! Ma come! 
Camminare davanti a sé senza sapere dove si va! 
Ridere di Giove senza credere a Geova! 
Guardare senza rispetto gli astri, i fiori, le donne, 
Sempre volere il corpo, senza mai cercare l’anima
Per dei vani risultati fare dei vani sforzi! 
Non aspettarsi niente da lassù! Cielo! Dimenticare i morti! 
Oh no, io non sono assolutamente di quelli là! Grandi, prosperi, 
Fieri, potenti, o nascosti dentro covi immondi, 
Io li fuggo, e temo i loro odiati sentieri; 
E io amerei meglio essere, o formiche delle città, 
Turba, folla, uomini falsi, cuori morti, razze decadute 
Un albero nella foresta piuttosto che un’anima nelle vostre resse!

Parigi, dicembre 1848.
Grazie Chiara. Papà Suggerisco una attenta lettura e rilettura. 

Ceux qui vivent, ce sont ceux qui luttent ; ce sont Ceux dont un dessein ferme emplit l’âme et le front, Ceux qui d’un haut destin gravissent l’âpre cime, Ceux qui marchent pensifs, épris d’un but sublime, Ayant devant les yeux sans cesse, nuit et jour, Ou quelque saint labeur ou quelque grand amour. C’est le prophète saint prosterné devant l’arche, C’est le travailleur, pâtre, ouvrier, patriarche ; Ceux dont le coeur est bon, ceux dont les jours sont pleins, Ceux-là vivent, Seigneur ! les autres, je les plains. Car de son vague ennui le néant les enivre, Car le plus lourd fardeau, c’est d’exister sans vivre. Inutiles, épars, ils traînent ici-bas Le sombre accablement d’être en ne pensant pas. Ils s’appellent vulgus, plebs, la tourbe, la foule. Ils sont ce qui murmure, applaudit, siffle, coule, Bat des mains, foule aux pieds, bâille, dit oui, dit non, N’a jamais de figure et n’a jamais de nom ; Troupeau qui va, revient, juge, absout, délibère, Détruit, prêt à Marat comme prêt à Tibère, Foule triste, joyeuse, habits dorés, bras nus, Pêle-mêle, et poussée aux gouffres inconnus Ils sont les passants froids, sans but, sans noeud, sans âge ; Le bas du genre humain qui s’écroule en nuage ; Ceux qu’on ne connaît pas, ceux qu’on ne compte pas, Ceux qui perdent les mots, les volontés, les pas. L’ombre obscure autour d’eux se prolonge et recule ; Ils n’ont du plein midi qu’un lointain crépuscule, Car, jetant au hasard les cris, les voix, le bruit, Ils errent près du bord sinistre de la nuit.
Quoi, ne point aimer ! suivre une morne carrière, Sans un songe en avant, sans un deuil en arrière ! Quoi ! marcher devant soi sans savoir où l’on va ! Rire de Jupiter sans croire à Jéhova ! Regarder sans respect l’astre, la fleur, la femme ! Toujours vouloir le corps, ne jamais chercher l’âme ! Pour de vains résultats faire de vains efforts ! N’attendre rien d’en haut ! ciel ! oublier les morts ! Oh non, je ne suis point de ceux-là ! grands, prospères, Fiers, puissants, ou cachés dans d’immondes repaires, Je les fuis, et je crains leurs sentiers détestés ; Et j’aimerais mieux être, ô fourmis des cités, Tourbe, foule, hommes faux, coeurs morts, races déchues Un arbre dans les bois qu’une âme en vos cohues !
Paris, décembre 1848.