"... il tuo corpo non mi attraeva, non capivo le donne che lo giudicavano bello e se ne invaghivano perdutamente, tradendo il marito, umiliandosi pur d’essere scaraventate contro un muro o su un letto, per poter raccontare agli altri, e a se stesse, di averti toccato …
Forse non ero innamorata di te, o non volevo esserlo, forse non ero gelosa di te, o non volevo esserlo, forse mi ero detta un mucchio di verità o menzogne, ma una cosa era certa: ti amavo come non avevo mai amato una creatura al mondo, come non avrei mai amato nessuno.
Una volta avevo scritto che l’amore non esiste, e se esiste è un imbroglio: che significa amare?
... Ti amavo al punto di non sopportare l’idea di ferirti pur essendo ferita, di tradirti pur essendo tradita, e amandoti amavo i tuoi difetti, i tuoi errori, le tue bugie, le tue bruttezze, le tue miserie, le tue volgarità, le tue contraddizioni.
E forse il tuo carattere non mi piaceva, né il tuo modo di comportarti, però ti amavo di un amore più forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal punto inguaribile, che ormai non potevo più concepire la vita senza di te. Ne facevi parte quanto il mio respiro, le mie mani, il mio cervello, e rinunciare a te era rinunciare a me stessa, ai miei sogni che erano i tuoi sogni, alle tue illusioni che erano le mie illusioni, alle tue speranze che erano le mie speranze, alla vita!
E l’amore esisteva, non era un imbroglio, era piuttosto una malattia, e di tale malattia potevo indicare tutti i segni, i fenomeni."
Oriana Fallaci, Un uomo.

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