Quello del quiet quitting, delle dimissioni silenziose, è un fenomeno molto diffuso, specialmente nelle pubbliche amministrazioni, ma del quale si parla poco. Spesso si preferisce fare finta di nulla. Anche per evitare ritorsioni da parte dei dimissionari volontari silenziosi, per quegli adempimenti obbligatori, di loro competenza. Costoro sono preposti, per esempio, al pagamento di fatture per la fornitura di beni o servizi. Nel settore dei lavori pubblici, presso gli Enti Locali e, pure, presso i Ministeri (Interno, compreso), è raro trovare funzionari esterni alla categoria dei quiet quitting. Molti dei miei RUP, senza ombra di dubbio, appartengono, con successo, a questa categoria. Tutti sanno di questo comportamento, ma nessuno fa niente per porre rimedio. Spesso ho provato, personalmente, a smuovere le acque facendo solleciti di adempimento, ma è stato del tutto inutile. Anzi, le mie proteste sono state improduttive, controproducenti. Anche presso qualche Ministero.
Le dimissioni silenziose sono una pratica in cui un dipendente svolge il minimo indispensabile del proprio lavoro e non va oltre quanto esplicitamente richiesto dal contratto e dalla descrizione delle mansioni, senza però abbandonare effettivamente il lavoro.
Non si tratta di dimissioni, ma di un modo per stabilire dei limiti e proteggersi dal burnout rifiutandosi di investire oltre quanto concordato, sia in termini di ore che di compiti aggiuntivi.
Questa è l'Italia, se vi piace, col modus operandi della sua burocrazia.

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