I miei post, di norma, sono indirizzati verso argomenti generali e verso persone che reputo eccezionali, nei loro principi, nel loro operato di vita. Qualcuno mi ha fatto notare che tra le persone la mia attenzione è rivolta prevalentemente alle donne. Non ho fatto statistiche a proposito, ma può essere che sia vero; anzi, sarà certamente vero. In ogni caso, scrivo per passione e non tengo conto di queste peculiarità. Scrivo delle cose e delle persone che mi piacciono e che mi lasciano qualcosa di bello in bocca, e, prima ancora, nella testa. Le mie note portano in se, sempre, dei punti di domanda. E la mia più grande soddisfazione è sapere che anche uno solo dei miei amici lettori possa aver provato piacimento, appagamento interiore, dalla lettura.
Ma, anche in quanto uomo, non posso non evidenziare che i miei scritti, quasi sempre spontanei non preparati e ragionati, sono rivolti alle persone fornite di intelligenza superiore alla media, e a parità di condizioni, la Donna, in quanto tale, per emergere nella società, improntata su principi e valori coniugati al maschile, ha necessità di un maggiore impegno, di uno sforzo maggiore rispetto all'uomo.
Questa premessa serve per introdurre una Donna, nota a molta gente, bellissima, potente, eccezionale, particolarmente tormentata nel suo vissuto quotidiano.
Sì, parlerò di Didone (Dido-onis), la fuggitiva gioconda.
Donna mitologica vissuta circa 750 anni a.C.
Essa è legata alla città di Tiro (Libano), ove è stata Regina consorte dell'allora regno dei fenici (Popolo importante e dominatore di vasti territori) ed alla città di Cartagine (Tunisia) da lei stessa fondata e di cui è stata la prima Regina.
Rappresenta la classica Bellezza del Mediterraneo Orientale.
Alla morte del padre (Belo), re di Tiro, è salita al trono insieme al fratello Pigmalione. La sete di potere esaltò i contrasti tra fratello e sorella (Sostenuta dal marito). Pigmalione per raggiungere il potere non esitò dal rendere vedova la sorella, che non ha accettato di buon grado tale vedovanza indotta. Elisha, resasi conto di non avere futuro in Libano (A Tiro), dopo essersi impossessata delle navi di Pigmalione, con l'oro nascosto dal marito, decise di indirizzarsi verso altri lidi. Questa fuga le portò in dote il nome con cui è nota. La fuga di Didone era senza una metà certa. Dal Libano si è portata a Cipro e da li verso le coste Africane. Con un preciso obiettivo. La costruzione di una nuova Patria. Arrivata in Tunisia, si racconta che il re locale le avrebbe concesso di occupare il suolo che era possibile coprire con una pelle di bue. Allora Elisha, divenuta oramai Didone, ha tagliuzzato la pelle in tante strisce sottilissime che legate tra di loro le diedero la possibilità di occupare la collinetta dove sorse Cartagine.
Ed è qui che giunse Enea, nel suo tempestoso peregrinare, dalla distrutta Troia, anche lui diretto verso una nuova Patria. Didone non resistette al fascino di Enea di cui si innamorò perdutamente. La passione per Enea le fece dimenticare il giuramento di fedeltà che aveva fatto al marito (Sicheo).
"Didone ed Enea riparano in una stessa grotta.
Per prima la Terra e Giunone pronuba danno il segnale:
rifulsero lampi nell'aria a festeggiare l'unione,
e sulle cime dei monti ulularono le Ninfe.
... Didone non pensa alle chiacchiere,
non pensa al suo decoro e non teme lo scandalo,
ormai non coltiva più un amore segreto,
lo chiama matrimonio, vela così la sua colpa".
Così recita l'Eneide, IV, 201 - 209.
Ma Enea, pur molto innamorato di Didone, era alla ricerca della sua Patria (Roma) e non poteva accettare di essere suddito della regina Didone; pur donna Bellissima ed intelligente. Quindi, dopo un piacevole soggiorno a Cartagine decise di andare via. Didone invano supplica Enea di rimanere, anche in nome del fortissimo legame che li aveva avvolti a Cartagine. Cartagine che lo aveva accolto con benevolenza. Pur senza nascondere l'intervento di Cupido e degli dei dell'Olimpo.
Didone appena seppe della fuga di Enea, incapace di resistere alla sofferenza decise di togliersi la vita. Tutto per Amore.
E' questo è il suo lamento finale, con la maledizione di tutti i Troiani e di tutte le loro future discendenze, prima di uccidersi, con una spada, nel 759 a.C., sia per l'abbandono di Enea, sia per il fatto di aver tradito il giuramento fatto al marito.
"Fondai una grande città, vidi sorgere alte le mura,
... felice, ahi, troppo felice se solo
non fossero mai arrivate ai nostri lidi sabbiosi
navi dardanie!"
Disse e premé la bocca sul letto.
"Moriamo senza vendetta - riprese - ma moriamo.
Così, anche così giova scendere alle Ombre.
Il crudele Troiano vedrà dall'alto mare
il fuoco e trarrà funesti presagi dalla mia morte".
Eneide, IV, 795 - 804.
Ma, anche in quanto uomo, non posso non evidenziare che i miei scritti, quasi sempre spontanei non preparati e ragionati, sono rivolti alle persone fornite di intelligenza superiore alla media, e a parità di condizioni, la Donna, in quanto tale, per emergere nella società, improntata su principi e valori coniugati al maschile, ha necessità di un maggiore impegno, di uno sforzo maggiore rispetto all'uomo.
Questa premessa serve per introdurre una Donna, nota a molta gente, bellissima, potente, eccezionale, particolarmente tormentata nel suo vissuto quotidiano.
Sì, parlerò di Didone (Dido-onis), la fuggitiva gioconda.
Donna mitologica vissuta circa 750 anni a.C.
Essa è legata alla città di Tiro (Libano), ove è stata Regina consorte dell'allora regno dei fenici (Popolo importante e dominatore di vasti territori) ed alla città di Cartagine (Tunisia) da lei stessa fondata e di cui è stata la prima Regina.
Rappresenta la classica Bellezza del Mediterraneo Orientale.
Alla morte del padre (Belo), re di Tiro, è salita al trono insieme al fratello Pigmalione. La sete di potere esaltò i contrasti tra fratello e sorella (Sostenuta dal marito). Pigmalione per raggiungere il potere non esitò dal rendere vedova la sorella, che non ha accettato di buon grado tale vedovanza indotta. Elisha, resasi conto di non avere futuro in Libano (A Tiro), dopo essersi impossessata delle navi di Pigmalione, con l'oro nascosto dal marito, decise di indirizzarsi verso altri lidi. Questa fuga le portò in dote il nome con cui è nota. La fuga di Didone era senza una metà certa. Dal Libano si è portata a Cipro e da li verso le coste Africane. Con un preciso obiettivo. La costruzione di una nuova Patria. Arrivata in Tunisia, si racconta che il re locale le avrebbe concesso di occupare il suolo che era possibile coprire con una pelle di bue. Allora Elisha, divenuta oramai Didone, ha tagliuzzato la pelle in tante strisce sottilissime che legate tra di loro le diedero la possibilità di occupare la collinetta dove sorse Cartagine.
Ed è qui che giunse Enea, nel suo tempestoso peregrinare, dalla distrutta Troia, anche lui diretto verso una nuova Patria. Didone non resistette al fascino di Enea di cui si innamorò perdutamente. La passione per Enea le fece dimenticare il giuramento di fedeltà che aveva fatto al marito (Sicheo).
"Didone ed Enea riparano in una stessa grotta.
Per prima la Terra e Giunone pronuba danno il segnale:
rifulsero lampi nell'aria a festeggiare l'unione,
e sulle cime dei monti ulularono le Ninfe.
... Didone non pensa alle chiacchiere,
non pensa al suo decoro e non teme lo scandalo,
ormai non coltiva più un amore segreto,
lo chiama matrimonio, vela così la sua colpa".
Così recita l'Eneide, IV, 201 - 209.
Ma Enea, pur molto innamorato di Didone, era alla ricerca della sua Patria (Roma) e non poteva accettare di essere suddito della regina Didone; pur donna Bellissima ed intelligente. Quindi, dopo un piacevole soggiorno a Cartagine decise di andare via. Didone invano supplica Enea di rimanere, anche in nome del fortissimo legame che li aveva avvolti a Cartagine. Cartagine che lo aveva accolto con benevolenza. Pur senza nascondere l'intervento di Cupido e degli dei dell'Olimpo.
Didone appena seppe della fuga di Enea, incapace di resistere alla sofferenza decise di togliersi la vita. Tutto per Amore.
E' questo è il suo lamento finale, con la maledizione di tutti i Troiani e di tutte le loro future discendenze, prima di uccidersi, con una spada, nel 759 a.C., sia per l'abbandono di Enea, sia per il fatto di aver tradito il giuramento fatto al marito.
"Fondai una grande città, vidi sorgere alte le mura,
... felice, ahi, troppo felice se solo
non fossero mai arrivate ai nostri lidi sabbiosi
navi dardanie!"
Disse e premé la bocca sul letto.
"Moriamo senza vendetta - riprese - ma moriamo.
Così, anche così giova scendere alle Ombre.
Il crudele Troiano vedrà dall'alto mare
il fuoco e trarrà funesti presagi dalla mia morte".
Eneide, IV, 795 - 804.