Il reo, nell'ambito di rapporti con la Comunità, per formalità, è obbligato al giuramento. Con tale atto esso si impegna, davanti a Dio e davanti alla Legge, di dire la VERITA'. Ossia, di andare contro se stesso.
Ha senso "mantenere" una così stridente contraddizione fra le leggi ed i sentimenti, naturali, personali, dell'Uomo? La risposta non può che essere negativa.
Perché un uomo reo dovrebbe essere veritiero quando ha tutto l'interesse ad essere falso? Può egli contribuire alla propria distruzione? E, perché mai se tanti saggi uomini, stimati dalla società, nei vari secoli, hanno violato il giuramento, gli scellerati debbono rispettarlo?
Il giuramento, in Italia, fino a molto tempo fa, era fatto "davanti a Dio", ultimamente, in ossequio alla Costituzione laica ed, anche, per la forte presenza di altre religioni, è fatto sulle leggi dello Stato.
Con riferimento alla prima fase, il giuramento poneva il reo davanti alla terribile contrapposizione: " Mancare a Dio o concorrere alla propria rovina". Infatti quel giuramento obbligava ad essere o un cattivo Cristiano o un Martire. Nei paesi più evoluti (Illuminati) tale circostanza è stata, sin dal 1764 con l'intuito di Cesare BECCARIA, argomento di dibattito acceso fra le menti più illuminate, pur davanti alle dure contestazioni ed alle purghe della Chiesa.
Gli Intelletti Ereticali spesso si sono chiesti, e, si chiedono, cosa e come fare per elidere tale contrapposizione. Alcuni paesi (USA,...) con l'inserimento di un famoso Emendamento (Il V°) hanno risolto, in modo elegante, tale dilemma. Il reo, quindi, può astenersi dal giurare sulla verità dei fatti che potrebbero portare danno alla sua persona. E, per i più dubbiosi, quelli più legati alla religione (Qualunque essa sia) si può dire che, mai, "nessun giuramento ha fatto dire la verità ad alcun reo". Ciò è dimostrato, anche, dalla Ragione (Che, con le Passioni muove le azioni dell'Uomo) che "dichiara inutili e per conseguenza dannose tutte le leggi che si oppongono ai naturali sentimenti dell'uomo". Beccaria docet.
Il Cittadino sottoposto ad azioni violente tende, per natura, alla reazione bilanciatrice violenta. Tende a sottrarsi al dominio delle leggi; tende ad inseguire il piatto freddo della vendetta. Tale tendenza a farsi giustizia è tanto più forte quanto più è scarno il bagaglio culturale del soggetto...
E' lo Stato che, in questi casi, deve dimostrare la propria forza al fine di impedire, e/o limitare, il più possibile, il ritorno allo ... stato selvatico di natura.
Se è vero, poi, come diceva (Tanti anni fa) Hobbes, che lo "stato di natura" era dominato dall'egoismo e dall'ostilità violenta tra gli uomini, è, anche, vero che la pacifica convivenza di una comunità si raggiunge con la parziale limitazione della Libertà individuale. L'autorità sovrana che esercita il potere deve, però, essere Terza e capace di affrontare il giudizio del presunto reo, senza alcun presupposto inquisitorio. Rispettando la prerogativa del diritto del reo di evitare di concorrere alla propria condanna. E, qui, ancora, si innesta il concetto illuministico (Montesquieu - Lo spirito delle leggi) della necessità di tenere, in un vero stato di diritto, accuratamente separati i tre Poteri: Esecutivo, Legislativo, Giudiziario. Quindi, il Giudice non ha alcun diritto di aumentare o diminuire, a suo arbitrio, le pene fissate dal Legislatore, espressione dell'intero corpo sociale, contro determinati reati.
Ma, ai giorni nostri, esiste ancora la medievale "errante instabilità interpretativa" delle leggi?
Le attuali nostre "sentenze" possono essere considerate come fondate su leggi chiare e certe, oppure sono da considerare espressioni (Opiniones) del più sconfinato libero arbitrio del Giudice?
Certo, davanti a tale quesito, per il Cittadino normale (E non solo per esso) la mente corre a tutti quei casi in cui il giudizio, per un certo reato, passa, nel passare attraverso i diversi gradi di giudizio, dalla assoluzione alla condanna. O viceversa.